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Data Design: come comunicare i dati

Marco Belmondo

di Marco Belmondo (Chief Marketing Officer del gruppo Datrix)

Con l’avvento dei Big Data (o forse, ancora prima, con la nascita del World Wide Web), si è passati da un mondo in cui raccogliere dati era estremamente oneroso ad un mondo in cui i dati vengono generati in quantità prima inimmaginabili.

Le aziende oggi si trovano di fronte alla grande sfida: estrarre dai dati delle informazioni di valore, ossia informazioni che possano essere immediatamente utilizzabili nei processi di business, supportando giorno dopo giorno i decisori aziendali. Ma, come detto, questa è una grandissima sfida che passa attraverso nuove tecnologie, nuove competenze e nuovi processi organizzativi. In questo articolo, proviamo a concentrarci su una fase molto delicata, quella della Data Visualization o, per meglio dire, del Big Data Design.

Come un buon architetto, chi si occupa di visualizzare i dati – ossia di tradurre i dati in informazioni visive – deve compiere continuamente delle scelte per migliorare l’esperienza dell’utente e facilitare l’accesso alla conoscenza presente nei Big Data.[/vc_column_text][vc_column_text]

La storia del Data Design: da William Playfair ai Big Data

Prima di addentrarci in termini tecnici, metodi e strumenti, è interessante approfondire l’origine del data design, ben prima dell’avvento dei big data o più in generale della tecnologia del XXI secolo. Uno dei padri della visualizzazione dei dati è William Playfair, statistico scozzese che, nella sua opera del 1786 dal titolo “The Commercial and Political Atlas”, incluse 44 grafici per descrivere la situazione dell’economia inglese. Perché lo fece? Come ci racconta lui stesso, il data design nasce di fatto per trasmettere più velocemente la conoscenza agli “uomini di alto rango, o attivi negli affari”. Citando Playfair, “Se la conoscenza dell’umanità aumenta, diventa sempre più necessario abbreviare e semplificare le modalità con le quali le informazioni vengono divulgate.”

Nel corso dei secoli, molto si è fatto e molto si è imparato attraverso la visualizzazione dei dati. Non si può non citare anche Edward Tufte, professore universitario nato nel 1942, noto per il suo libro sull’information design “The Visual Display of Quantitative Information”. Egli sottolinea la necessità di mettere insieme la complessità dei dati e l’eleganza della rappresentazione visiva, con un obiettivo: rappresentare “il maggior numero di idee, nel minor tempo possibile, utilizzando la minor quantità di inchiostro, in uno spazio ridottissimo”.

I trend evolutivi del Big Data Design

Oggi, come accennato, abbiamo necessità di esplorare dati estremamente più complessi rispetto al passato. I Big Data, per definizione, sono dati di fonte e formato eterogeneo, di grandi volumi e che spesso (pensiamo ad esempio ai dati provenienti dai sensori) hanno necessità di essere visualizzati in tempo reale. È chiaro dunque che, scendendo nei particolari più tecnologici, siano oggi necessari strumenti diversi, in grado di rappresentare visivamente la complessità o, per meglio dire, in grado di rendere semplice la complessità, evidenziando gli aspetti più importanti.

Possiamo riassumere i trend evolutivi del Big Data Design con tre parole:

  • Interattività (e approccio no-code): gli strumenti di visualizzazione dei dati sono sempre di più pensati per essere interattivi, accessibili con logiche drag-and-drop anche ad utenti che non conoscono nessuno specifico linguaggio di programmazione. In questo modo, si risponde alla necessità di navigare nella complessità dei dati dando maggiore autonomia all’utente che vi accede. Sono dunque superati i report statici che impiegano molte ore uomo, tipicamente della funzione IT, per rispondere alle specifiche esigenze informative degli utenti interni.
  • Velocità: prima di tutto, velocità nel senso di nuove visualizzazioni, pensate per rappresentare dati che vengono acquisiti e analizzati in tempo reale o in streaming. In secondo luogo, velocità nel senso di performance, una variabile sempre più rilevante quando si ha necessità di esplorare dati di ampi volumi. Ad esempio, si pensi ad uno strumento di data visualization con cui si accede direttamente ad un data lake.
  • Augmented: la possibilità di “fare domande ai dati” con il linguaggio naturale, la possibilità di avere già degli insight automatizzati sui dati più rilevanti o di visualizzare direttamente i dati anomali, cioè gli outlier. E ancora, la possibilità di avere dei trigger automatizzati, ossia dei segnali di valori particolari per cui è necessario compiere delle azioni di business. Tutti questi aspetti vengono abilitati da un Big Data Design che fa sempre di più affidamento sugli algoritmi di Intelligenza Artificiale per rendere un servizio immediatamente utile agli utenti di business.

Le soluzioni di 3rdPlace per il Big Data Design

3rdPlace, tech company del gruppo Datrix, si propone di rispondere appieno alle necessità informative dei propri clienti e nelle proprie soluzioni offre un Big Data Design sempre più “aumentato”, tramite algoritmi proprietari di intelligenza artificiale.

La piattaforma DataLysm, adatta sia a grandi sia a piccole imprese, parla direttamente ai Responsabili Marketing fornendo delle rappresentazioni dei dati utili e immediatamente azionabili. Comunicare con i dati è una sfida ancor più complessa ma d’altra parte molto affascinante al tempo dei Big Data e approcciare tecnologie allo stato dell’arte è necessario per non affogare nel diluvio di dati in cui ci troviamo.